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Le giornate della vendemmia erano le più belle, le più attese dai contadini. Era il momento di tirare le somme di un'intera annata di lavoro e di fatiche non sempre giustamente ripagate a causa di una improvvisa grandinata o del perdurare della siccità. Quanto lavoro nella vigna, il verderame ogni settimana, togliere le erbacce tra i filari, solitamente la gramigna. Spedare ( potare con le mani ) i viticci e assicurarsi che la cenere ( la malattia dell'uva ) non attaccasse gli acini. Sulle strade ad ogni ora del giorno passavano carri e carretti trainati dai buoi, con sopra tutto l'occorrente per la vendemmia , tini, cesti, tinozze. Alle prime luci dell'alba ogni gruppo famigliare, allora molto numerosi, altrimenti riuniti in cooperative di due o tre famiglie, si avviava verso la campagna per intraprendere il lavoro. Arrivati nei campi si procedeva subito a scaricare dai carri tutti gli attrezzi; cesti e secchi venivano collocati sotto il pergolato, pronti per essere riempiti di grappoli che i vendemmiatori staccavano dai tralci della vite
era quando arrivavano le vespe attratte dal dolce mosto. A volte capitava che senza accorgersi qualche ragazzo pestasse con il piede uno di questi insetti. Allora il suo piede si gonfiava a vista d'occhio con dei dolori fortissimi. Allora veniva sostituito e si continuava la vendemmia. Era usanza di noi vendemmiatori, intonare canti e cori ai quali rispondevano altri vendemmiatori nei campi vicini. Erano canti di gioia tra persone felici, innamorate della loro terra, del loro lavoro, del quieto vivere.
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