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conferita alla città dal Presidente della Repubblica Ciampi non è solo un riconoscimento da appuntare al gonfalone, ma un monito per i giovani, perché sappiano da quali ceneri di morte e dolore Pescara ha saputo rinascere. Così almeno crede il Presidente del consiglio comunale, per il quale «Pescara non può cancellare quegli anni e le nuove generazioni devono essere al corrente di quanto avvenne in quel periodo». «Gli ordigni lanciati dagli aerei alleati il 14, il 17, il 18 e il 20 settembre rasero al suolo l'80% delle abitazioni facendo più di duemila vittime, e solo il fatto che molti pescaresi si fossero rifugiati sulle colline circostanti e nei Comuni limitrofi evitò un bilancio ben più tragico». Ma la ferita
più grande rimane forse quella
inflitta il 31 agosto. E non
solo perché il bombardamento provocò un numero di morti oscillante tra i
mille e i duemila (secondo le controverse stime fatte dagli storici), ma
soprattutto per la triste sensazione che colse i pescaresi alle 13,25 di
quel fatidico giorno: di aver perso l'innocenza e per alcuni, insieme ad
essa, i parenti, gli amici, la casa e la vita di un tempo.
Il consigliere comunale, che al tempo aveva solo cinque anni,
rievoca bene quel clima di innocenza perduta: «Vidi arrivare questi stupendi
aerei argentati e, tutto contento, chiamai mia madre. Lei gridò "E' la
guerra" e mi portò al riparo, coi miei tre fratelli, nel sottoscala. Quando
uscimmo di casa, in quella che oggi è via Ravenna, mi accorsi che cos'era,
la guerra: tutti i palazzi vicini erano stati distrutti e intorno a noi non
c'erano purtroppo che morti e macerie».
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