NOVEMBRE, ANCORA CALMA

A quei tempi durante l'inverno, le famiglie patriarcali facevano venire in casa il calzolaio per riparare le vecchie scarpe o farne di nuove. Allora i soldi erano sempre scarsi, così con il vitto e qualche buon bicchiere di vino la manodopera del calzolaio o del sarto era assicurate. Nella settimana precedente la festa del santo del quartiere era tradizione dei ragazzi girare di casa in casa dei contadini più facoltosi facendo la questua e i contadini mettevano nel sacco prodotti della terra, patate, fagioli, noci, castagne e qualche zucca, altri ti davano cinque o dieci lire di carta di allora, grosse come i cinquanta Euro di adesso. Il tutto veniva dato per la Chiesa, al comitato della festa, e serviva a pagare i musici, le luci, la cassarmonica e il prete che diceva le messe. Solitamente le feste duravano due giorni, il sabato e la domenica e noi ragazzi si passava tutto il nostro tempo sui cavallucci o spendendo i nostri pochi spiccioli comprando lupini e nucelle. I più grandicelli passavano il loro tempo al tiro a segno sparando sui bottoni di gesso con i fucili ad aria compressa nei relativi baracconi cercando di fare punti per portarsi a casa il premio messo in palio.

La festa della Madonna Della Vittoria si celebrava tutti gli anni allora ( adesso dopo 35 anni non riescono a ricostruire la chiesa con le offerte dei parrocchiani ) ed era considerata da noi la più bella festa dell'anno dopo quella del Patrono di Chieti, San Giustino. Si diceva una messa solenne a cui partecipavano tutti. Numerose persone venivano anche da località vicine per ascoltare il bel canto, le voci melodiose dei bravi coristi della parrocchia. Nella piazza noi ci rallegravamo intorno alle bancarelle, la dove non mancavano mai i palloncini colorati, trombette, zufoli, petardi, e tanti  

 dolci, dal torrone, al mandorlato, alle caramelle, allo zucchero filato ( il tira e molla ) Quasi sempre agli angoli della chiesa c'erano il venditore di caldarroste e il venditore di lupini. Le mamme invece, uscite dalla chiesa, prendevano subito la via di casa per preparare il pranzo, a base di sagnarelle e fagioli, di lasagne fatte in casa, oppure il timballo, la famosa pasta al forno. Quasi sempre per secondo c'erano, conigli o pollo arrosto, naturalmente non mancava il buon vino fatto in casa. Terminato il pranzo, le campane incominciavano a suonare ancora per chiamare i fedeli in chiesa per la funzione con predica dal pulpito del parroco ( quante volte ho servito messa e risposto in latino al prete) e quindi la benedizione a tutti i cristiani. Terminata la funzione del pomeriggio, le donne aspettavano l'uscita della processione e la portata in spalla del santo per le vie del quartiere con tutti i cristiani a seguirla cantando le lodi del Signore. I signori uomini, come sempre, entravano nell'osteria, dove prendevano posto ai lunghi tavoli per la consueta passatella, una scusa per bersi diversi bicchieri di vino messi come posta in palio, e un bicchiere per il compare che, messo a capotavola, teneva i conti segnandoli con il gesso su una lavagnetta. Per gli astemi c'era la famosa gazzosa, la bibita frizzante dentro la bottiglia, chiusa con la pallina di vetro. Bere quella bibita costituiva sempre un vero problema, perchè per versare la bevanda nel bicchiere, si doveva premere con forza la pallina di vetro con il dito pollice per farla entrare nell'apposita scanalatura. A volte, quando la bibita era troppo gasata, schizzava in faccia con mille risate degli amici. A sera si metteva in tavola quello che era avanzato in padella a mezzogiorno, ma ti dirò non si aveva mai molta voglia di mangiare con tutto quello che si era ingurgitato durante la giornata.


 

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